- Il caso
- Normativa applicabile
- Cosa dice la Corte di Cassazione
- Conclusioni
Il caso
Come noto, non è possibile licenziare la lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione e fino il compimento del primo anno di vita del bambino.
Tale divieto presenta tre eccezioni: colpa grave della lavoratrice, cessazione dell’attività dell’azienda e risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
In quale ipotesi c’è la “colpa grave della lavoratrice” che ne permette il suo legittimo licenziamento?
Normativa applicabile
Legge 30 dicembre 1971, n. 1204
Articolo 2.
Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’articolo 4 della presente legge, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.
Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, ha diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante presentazione, entro novanta giorni dal licenziamento, di idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell’attività dell’azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del terzo comma del presente articolo, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, alla ripresa dell’attività lavorativa stagionale e, sempreché non si trovino in periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, alla precedenza nelle riassunzioni.
Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l’attività dell’azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale.
Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall’articolo 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti
Cosa dice la Corte di Cassazione
Con recente ordinanza la Corte di Cassazione ha affermato che “per colpa grave da parte della lavoratrice non è sufficiente accertare la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo, essendo invece necessario verificare – con il relativo onere a carico del datore di lavoro – se sussista quella colpa specificatamente prevista dalla norma e diversa (per l’indicato connotato di gravità) da quella prevista dalla legge e dalla disciplina collettiva per generici casi di infrazione o di inadempimento sanzionati con la risoluzione del rapporto” (cfr. Corte Cassazione sez. Lavoro 35617 del 20.12.2023).
Continua poi la Suprema Corte che tale verifica deve essere eseguita “in relazione alle sua particolari condizioni psicofisiche legate allo stato di gestazione, le quali possono assumere rilievo ai fini dell’esclusione della gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso”.
Conclusioni
La colpa grave della lavoratrice, per cui si può procedere al suo licenziamento, è una colpa “qualificata” e ben diversa da quelle previste dalla normativa come giusta causa di licenziamento.
Scritto e pubblicato da avv. Michela Paolini | 6 marzo 2024