Richieste di pagamento dopo la cessione in blocco dei crediti

Ho oggi il piacere di ospitare in questo blog l’avv. Barbara Pantanetti, con cui collaboro spesso per questioni e casi attinenti il diritto bancario.

È suo il seguente contributo.

  • Il caso
  • Riferimenti normativi
  • Cosa dice la Corte di Cassazione e la Giurisprudenza di merito
  • Conclusioni

Il caso

Negli ultimi anni si è avuto un aumento delle cessioni dei crediti “in blocco” da parte di molti Istituti bancari e molti cittadini si sono ritrovati con richieste di pagamento inviate da società terze (cessionarie), senza alcuna preventiva comunicazione, se non al momento della richiesta di pagamento.

Spesso, infatti, l’aspetto problematico delle cessioni “in blocco” è capire se il proprio debito è ricompreso tra quelli oggetto di cessione o meno.

In alcuni casi, infatti, l’avviso di cessione riportata solo una generica e omnicomprensiva descrizione dell’oggetto dei crediti ceduti, facendo riferimento a classi di contratti stipulati e non rimborsati in un un periodo temporale più o meno ampio e/o attraverso l’indicazione di codici interni alle Banche, che non consentono una chiara riferibilità del credito al nominativo del debitore ceduto.

Diviene quindi essenziale poter identificare il proprio debito tra quello oggetto di cessione, per poter, in caso non sia ricompreso, legittimamente opporsi e contestare la richiesta di pagamento.

Riferimenti normativi

L’istituto della cessione è disciplinato dal Codice civile agli artt. 1260 e seg. e dalla normativa speciale, L. 130/99 e art. 58 T.U.B. che consente di trasferire un proprio credito ad altro soggetto, anche senza il consenso del debitore ceduto, acquistando efficacia nei confronti di quest’ultimo nel momento in cui gli viene notificata o è da questi accettata.

Le cessioni “in blocco” hanno la caratteristiche di avere ad oggetto una pluralità di crediti identificati per categorie (es. originati da prestiti chirografari, mutui fondiari e non, conti correnti ordinari ecc), che vengono trasferiti dietro corrispettivo ad una società denominata Special purpose vehicle (SPV), la quale a sua volta si avvale di altra Società (Servicer), che ha la funzione di gestire, amministrare, incassare e recuperare i crediti non corrisposti, senza esserne titolare.

Cosa dice la Corte di Cassazione e la Giurisprudenza di merito

Il dato letterale dell’art. 58, co. 4 T.U.B. attribuisce alla pubblicazione in G.U. la funzione di stabilire il giorno a decorrere dal quale il pagamento dovrà essere corrisposto al nuovo creditore, ma non libera quest’ultimo dal dover dimostrare l’acquisto della titolarità del credito.

La pubblicazione in G.U. assolve a una mera pubblicità dichiarativa: informare il debitore dell’avvenuto trasferimento del credito in capo ad altro soggetto legittimato a riceverne il pagamento, esonerando il nuovo titolare dall’obbligo di notifica.

A riguardo la sentenza n. 2591/2016 della Corte di Cass. Civ., Sez. Un. ha precisato che la prova dell’acquisto della titolarità debba essere fornita con l’allegazione in giudizio del contratto di credito “non potendosi fare ricorso a presunzioni, né con l’allegazione dell’avviso di cessione “in blocco” pubblicato in G.U.” (Trib. Vicenza 26/11/2021) e la Banca/chi per lei, in caso di contestazione, sarà obbligata a produrre il contratto di cessione, per dimostrare l’effettiva titolarità del credito e la sua legittimazione ad agire in giudizio per il recupero (Cass. Civ. Sez. VI – 1. ord. 05/11/2020 n. 24798; Trib. Milano del 16/09/2021 ed altre).

In tal senso, si sono espressa recentemente la Corte d’Appello Meneghina con la sentenza del 11/11/2022 e la Corte d’Appello di Ancona, Sez. I del 03/05/2022, secondo cui – in caso di contestazione da parte del debitore – la società cessionaria (SPV), che agisce in giudizio affermandosi titolare del credito, dovrà dimostrarne l’inclusione nella cartolarizzazione.

Prova che, in via principale, è costituita dal contratto di cessione, da cui deve ricavarsi, con la massima certezza, che “il credito vantato è stato effettivamente ed inequivocabilmente cartolarizzato”. In mancanza, si potrà supplire alla carenza probatoria con l’avviso di cessione pubblicato in G.U., purché contenga elementi precisi ed univoci di riferibilità del credito vantato con quelli oggetto di cessione “in blocco”.

Sempre la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 220 del 24/01/2023, consente la prova anche allegando la dichiarazione del cedente, che attesta l’intervenuta cessione del credito.

In mancanza di tali prove il decreto ingiuntivo potrà essere revocato.

Conclusioni

L’aumento delle cessioni dei crediti “in blocco” è divenuta prassi diffusa da parte delle Banche e operatori finanziari, per evitare che i crediti deteriorati (i cd. NPLs) impattino pesantemente sui loro bilanci.

Il nuovo titolare del credito è quindi gravato dall’onere di produrre il contratto di cessione, ma a ciò si potrebbe ovviare anche con gli avvisi di cessione che hanno contenuti più o meno dettagliati.

Chi ha ricevuto una richiesta di pagamento, a seguito di cessione in blocco del suo credito, è sempre bene che si rivolga a un avvocato esperto in diritto bancario, in modo da poter essere consigliato su una possibile opposizione.

Scritto da avv. Barbara Pantanetti e pubblicato da avv. Michela Paolini | 31 maggio 2023