- Il caso
- Riferimenti normativi
- Cosa dice la Corte di Cassazione
- Conclusioni
Il caso
Si rivolge al nostro studio una lavoratrice, dipendente di un’azienda della provincia di Macerata, che si era trovata a svolgere ritmi di lavoro insostenibili con richiesta di orario straordinario quotidiano, retribuito soltanto in minima parte, assenza di ferie, reperibilità nei fine settimana e a volte anche nelle ore notturne.
Tali orari logoranti erano sfociati in una sindrome ansiosa da stress, diagnosticata anche dal medico curante.
L’iperattività lavorativa (il cd. burnout) può legittimare le dimissioni del lavoratore per giusta causa?
Il lavoratore si può dimettere senza dare il preavviso e vedendosi riconosciuta la giusta causa, accedendo quindi anche alla NASPI (indennità di disoccupazione) presso l’INPS?
Riferimenti normativi
Art. 2119 c.c. (Recesso per giusta causa)
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Circolare INPS n.163/2003
Sulla base di quanto finora indicato dalla giurisprudenza, si considerano “per giusta causa” le dimissioni determinate:
a) dal mancato pagamento della retribuzione;
b) dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
c) dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative
d) dal c.d. mobbing, ossia di crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (spesso, tra l’altro, tali comportamenti consistono in molestie sessuali o “demansionamento”, già previsti come giusta causa di dimissioni). Il mobbing è una figura ormai accettata dalla giurisprudenza (per tutte, Corte di Cassazione, sentenza n.143/2000);
Nella circolare INPS, risalente però al 2003, manca qualunque riferimento allo stress sul luogo di lavoro, quale giusta causa di dimissioni.
Il D. Lgs. 81/2008 all’art. 28 stabilisce che la valutazione dei rischi sul lavoro “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato”.
Cosa dice la Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione nel 2015 ha affrontato un caso che riguardava un lavoratore che aveva rassegnato le dimissioni a seguito di ritmi di lavoro improponibili.
Nella motivazione della sentenza ha affermato “La Corte di Appello, conformemente al giudizio già espresso dal primo giudice in ordine al riconoscimento della giustificatezza delle dimissioni, ha ritenuto che le stesse erano state rassegnate dal lavoratore “ormai esasperato dai ritmi lavorativi insostenibili cui la società lo sottoponeva e per i quali aveva contratto la patologia diagnosticata nel certificato medico del servizio di medicina legale e fiscale”.
La Corte ha poi affermato che “la gravosità dell’impegno lavorativo risulta dagli atti ed in particolare dal carteggio relativo alle dimissioni nonché dai prospetti riepilogativi degli interventi e dal foglio presenze” (cfr. Corte di Cassazione sentenza n. 18429 del 18/09/2015).
Il datore di lavoro era stato quindi condannato a corrispondere all’ex dipendente, oltre alle differenze retributive, anche l’indennità sostitutiva del preavviso.
La Corte di Cassazione aveva quindi riconosciuto la giusta causa delle dimissioni, giustificate da ritmi lavorativi insostenibili, in quanto il rapporto di lavoro non poteva proseguire nemmeno provvisoriamente.
Conclusioni
Nonostante lo stress non rientri nelle ipotesi tipizzate nelle quali le dimissioni possono sempre considerarsi per giusta causa (come da circolare INPS) e danno diritto all’indennità sostitutiva del preavviso e alla NASPI, la Corte di Cassazione lo ha ritenuto motivo legittimo.
In questi casi non è possibile dare un giudizio a priori, andrà valutato, nel caso concreto, se i ritmi stressanti a cui è stato sottoposto il lavoratore o la lavoratrice possono rientrare o meno nella giusta causa di dimissioni.
Rimane il rischio che il datore di lavoro e l’INPS non riconoscano la giusta causa.
Nel caso in cui il datore di lavoro trattenga l’indennità sostitutiva del preavviso, sarà onere del lavoratore introdurre un ricorso al Giudice del Lavoro e dimostrare in giudizio i ritmi lavorativi che hanno portato alle dimissioni.
Nel caso in cui l’INPS respinga la domanda di NASPI del lavoratore, quest’ultimo dovrà fare ricorso al Giudice del Lavoro con l’onere, sempre a suo carico, di dimostrare in giudizio i ritmi lavorativi.
Scritto e pubblicato da avv. Michela Paolini | 29 marzo 2023