Commissioni di massimo scoperto (CMS)

Il caso

Normativa applicabile

Cosa dice la Corte di Cassazione

Conclusioni

Il caso

In tempi di crisi può capitare che il saldo del conto corrente “vada in rosso” ossia sia negativo.

In quel caso la Banca applica un tasso di interesse chiamato “debitore”.

Sull’ammontare più alto raggiunto dall’importo dello scoperto, oltre all’interesse debitore, la Banca può prevedere, da contratto, delle commissioni, quelle relative appunto al massimo scoperto.

La CMS (commissione massimo scoperto) quando è nulla?

In tal caso cosa può fare il cliente e quale risarcimento gli spetta?

La commissione di massimo scoperto (CMS) dal 2012 è stata sostituita da altre commissioni, in particolare dalla commissione disponibilità fondi, che andrà, di fatto, a sostituirla, per le aperture di credito successive al 2012.

Riferimenti normativi

Prima del 2009 la commissione di massimo scoperto non era regolata dall’ordinamento, tanto che i giudici avevano iniziato a ritenerla illegittima, in genere per mancanza di causa e per indeterminatezza o indeterminabilità.

Tutto ciò ha portato il legislatore a un tentativo di regolamentazione con l’art.2 bis L. 2/2009, che riconosceva la clausola solo se espressamente pattuita con il cliente, ma nel 2011 ne è stata dichiarata la nullità.

Nel 2012, la L. 62/2012 e la successiva modifica dell’articolo 117 TUB hanno introdotto due tipi di commissioni (una commissione sulle linee di credito e una sugli sconfinamenti), dichiarando nulle tutte le clausole diverse da quest’ultime.

Art. 117-bis (Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti)

I contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L’ammontare della commissione, determinata in coerenza con la delibera del CICR anche in relazione alle specifiche tipologie di apertura di credito e con particolare riguardo per i conti correnti, non puo’ superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente.

A fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull’ammontare dello sconfinamento.

Le clausole che prevedono oneri diversi o non conformi rispetto a quanto stabilito nei commi 1 e 2 sono nulle. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto.

Il CICR adotta disposizioni applicative del presente articolo, ivi compresa quelle in materia di trasparenza e comparabilità, e può prevedere che esso si applichi ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente; il CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non sia dovuta la commissione di istruttoria veloce di cui al comma 2.

L’art. 117bis TUB stabilisce e autorizza, quindi, le Banche a applicare la commissione disponibilità fondi (che andrà, di fatto, a sostituire la commissione di massimo scoperto) e la commissione di istruttoria veloce.

Cosa dice la Corte di Cassazione

Per tutte le aperture di credito (antecedenti al 2012) che presentano la clausola della commissione di massimo scoperto, è la Corte di Cassazione che stabilisce dei paletti rigidi sulla sua validità.

Afferma la Suprema Corte che “deve considerarsi nulla per indeterminatezza dell’oggetto la clausola che preveda la commissione di massimo scoperto indicandone semplicemente la misura percentuale, senza specificare le modalità di calcolo e di quantificazione della stessa, posto che, in tal caso, il correntista non è, invero, in grado di conoscere quando e come sorgerà l’obbligo di dover corrispondere la suddetta commissione alla banca. Non è perciò legittima una clausola negoziale nella quale la commissione di massimo scoperto viene indicata unicamente mediante una determinata percentuale, senza alcun riferimento al valore sul quale dovesse essere calcolata tale percentuale.” (cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 20 giugno 2022, n. 19825).

Statuisce dunque la Corte di Cassazione che per la validità della CMS (commissione massimo scoperto) la clausola deve essere pattuita tra le parti, indicata nel contratto e soprattutto deve esplicitare e contenere i criteri e le modalità di calcolo della stessa, pena la nullità per indeterminatezza dell’oggetto.

Conclusioni

Nel caso in cui la Banca abbia applicato una CMS (commissione massimo scoperto) senza rispettare i paletti descritti sopra dalla Corte di Cassazione (pattuita, indicata nel contratto e con specifici criteri per il suo calcolo) il cliente può agire in giudizio nei confronti della Banca per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola e soprattutto la condanna della Banca alla restituzione delle somme indebitamente pagate a titolo di CMS, nonché il ricalcolo degli oneri illegittimamente addebitati.

Quanto sopra porta altresì a una rideterminazione del saldo effettivo, a volte con notevoli differenze per il cliente, in termini di riduzione del debito.

Scritto e pubblicato da avv. Michela Paolini | 22 febbraio 2023