Il caso dello studio
Normativa applicabile
Cosa dice la Corte di Cassazione
Conclusioni
Il caso
Un lavoratore si rivolge al nostro studio perché licenziato per non aver superato il patto di prova.
Il patto di prova era stato inserito in un contratto a tempo indeterminato, nonostante il lavoratore avesse già lavorato alle dipendenze della stessa azienda, nelle medesime mansioni, con un contratto a tempo determinato.
È sempre lecito apporre a un contratto di lavoro il patto di prova?
Quando invece il patto di prova è nullo?
Normativa applicabile
Art. 2096 c.c. (Assunzione in prova).
“Salvo diversa disposizione delle norme corporative, l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.
L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro”.
Cosa dice la Corte di Cassazione
Con sentenza n. 17921/2016, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha stabilito “la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la causa del patto di prova è quella di tutelare l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, sicché detta causa risulta insussistente ove la verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le medesime mansioni, in virtù di prestazione resa dal lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro” (in tal senso fra le più recenti Cass. 17.7.2015 n. 15059; Cass. 25.3.2015 n. 6001; Cass, 5.3.2015 n. 4466).
E’ stato anche precisato che il principio è applicabile ogni volta che il prestatore venga chiamato a svolgere la medesima attività, senza che rilevino la natura e la qualificazione dei contratti stipulati in successione (Cass. 29.7.2005 n. 15960) nonché la diversa denominazione delle mansioni (Cass. 1.9.2015 n. 17371) e senza che in sede di legittimità possa essere censurato l’accertamento di eguaglianza effettiva delle mansioni, in quanto riservato “al sovrano apprezzamento del giudice di merito” (Cass. n. 17371/2015 e Cass. 6001/2015).
Quindi il patto di prova, per essere validamente apposto e non nullo deve risultare da atto scritto (in genere inserito nel contratto di assunzione), deve essere specifico (deve indicare le mansioni per le quali è richiesta la prova al lavoratore) e di durata di non eccessiva (non superiore alla durata prevista dal CCNL di categoria).
Inoltre, il patto di prova è nullo se la verifica delle mansioni sia già intervenuta, in precedenza, con esito positivo per le stesse mansioni e per un congruo lasso di tempo.
Conclusioni
Il patto di prova trova la sua ratio nell’essere una garanzia per il datore di lavoro che ha la possibilità di verificare, per un periodo adeguato, le capacità del lavoratore e un’opportunità per il lavoratore di comprendere meglio la prestazione e le modalità di lavoro.
Tuttavia, inserire un patto di prova in un contratto stipulato con un lavoratore che fino al mese precedente aveva svolto, con contratto a tempo determinato, le medesime mansioni alle dipendenze dell’azienda, è illegittimo, visto che la prova era già stata superata positivamente, durante il precedente rapporto di lavoro.
Il patto di prova, dunque, inserito a queste condizioni, è nullo, con conseguente illegittimità del licenziamento, se intimato per non aver superato il periodo di prova.
Scritto e pubblicato da avv. Michela Paolini | 1 febbraio 2023